Il modo di vivere nei secoli passati esigeva mobili leggeri e funzionali, facilmente trasportabili e in qualche caso addirittura richiudibili. L’arredamento nella Grecia e Roma antica non sfuggiva a questa regola. Come testimoniato dai ritrovamenti archeologici e dalle descrizioni di Omero, gli antichi Greci preferivano arredi dalle linee funzionali poco elaborati nella decorazione. Al contrario pareti e soffitti, soprattutto quelli presenti all’interno delle abitazioni delle classi più agiate, erano fastosamente decorate.
I mobili, di cui rimane traccia soprattutto sul vasellame dipinto, erano il letto, detto kline, e la sedia chiamata klismos. Visto la consuetudine diffusasi a partire dal IV secolo a.C. di mangiare sdraiati, il kline svolgeva la funzione di divano e di letto insieme. Era composto da un semplice telaio in legno con un piano formato da strisce di cuoio intrecciate.
La sedia greca era un oggetto nel suo insieme elegante e funzionale munita di schienale e senza braccioli.
Buona parte dell’arredo delle case greche venne adottata in Italia dagli Etruschi prima e dai Romani dopo. A Roma, le case patrizie, dall’età augustea in poi, divennero tra le più ricche e sfarzose del mondo antico. Attraverso i ritrovamenti negli scavi di Pompei ed Ercolano sappiamo come queste fossero arredate da tantissime tipologie di mobili di derivazione greca ed etrusca, ma anche da alcune originali invenzioni della cultura romana.
In particolare ad Ercolano sono stati ritrovati rarissimi esemplari di mobilio di epoca romana.
Durante l’eruzione del Vesuvio del 24 agosto del 79 d.C. le due città furono distrutte. Pompei fu coperta da una coltre di cenere e pomici che incendiò il legno della mobilia incenerendola completamente. Ercolano, invece, fu sepolta da nubi di gas e cenere fine ad altissima temperatura che carbonizzò i mobili e lo spesso strato di ceneri, solidificandosi nei secoli, permise che rimanessero quasi intatti nella loro struttura fino alla loro ritrovamento.
Erano mobili in cui era tenuta in grande considerazione la funzionalità ed erano realizzati in legno di abete, di noce e di quercia e quelli più lussuosi in bronzo, osso e avorio. In essi l’aspetto estetico aveva importanza secondaria .
Nella Domus Romana le decorazioni erano destinate a pareti dipinte e ai pavimenti a mosaico, la cui ricchezza, insieme alle dimensioni della casa, rifletteva la condizione sociale di chi le abitava.
I mobili, sovente sostituiti da elementi in muratura, avevano un ruolo di minor portata estetica nell’insieme architettonico.
Contrariamente a quanto accade nelle nostre case contemporanee, in cui l’aspetto neutro delle pareti mette in risalto l’arredo, nelle case dei patrizi romani, l’uso di mobili poco appariscenti era funzionale al godimento visivo delle decorazioni della casa.
Se gli antichi Greci riponevano abiti e biancheria in grandi kibotos (cassoni di legno), per riporre gli indumenti e oggetti vari, i Romani, oltre alle casse, usavano anche una sorta di armadio a muro ricavato da incavi nelle pareti con scaffalature interne e ante in legno, detti appunto armarium.
Essenziale e funzionale era il letto di derivazione greca detto lectus triclinaris. A uno o a due posti, rappresentava uno degli elementi d’arredo più importanti.
Molto usato era anche il letto a spalliera alta. Era costituito da un’intelaiatura rettangolare con doghe in legno o strisce di cuoio per sostenere il materasso. Questa struttura era cinta da spalliere montate su due o tre lati e sostenuta da quattro zampe composte da una barra metallica rivestita da anelli di legno lavorati separatamente, e infilati uno sull’altro.
Gli artigiani romani ricorsero spesso all’intaglio per ornare i mobili con teste di mulo e con gambe zoomorfe.
I molti modelli di sedie, tavoli, sgabelli e piedistalli creati dagli artigiani Romani con tecniche innovative, influenzarono lo sviluppo del successivo mobilio europeo.
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