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Il gusto estetico che si diffuse in Europa e negli Stati Uniti tra gli anni venti e gli anni trenta del Novecento nacque dal desiderio di lasciarsi alle spalle gli orrori del primo conflitto mondiale della storia. La parola d’ordine di quello che fu definito stile Art Déco fu modernità. Automobili, aerei, grattacieli, transatlantici, erano i nuovi miti di una società in fermento che desiderava prosperità e divertimento e che guardava con disprezzo a tutto quello che rappresenta il vecchio.

Origini e nascita dello stile.

Lo stile Art Déco nacque in Francia intorno al 1910, ad opera di quello che possiamo considerare il primo stilista e inventore della moda in senso moderno, Paul Poiret (1879 – 1944). Lo stile coinvolse la moda, le arti figurative, l’arredamento e l’architettura. Tanto che i motivi decorativi tipici, quelli a zigzag, a scacchi, a ‘V’ ed a raggi solari, furono usati indifferentemente sia che per la decorazione dei mobili che per le scarpe da donna o per le architetture.

Il nome Art Déco, fu derivato dalla sintetica denominazione dell’Exposition Internationale des Arts Décoratifs et Industriels Modernes , tenutasi a Parigi nel 1925. Esposizione che sancì il trionfo della raffinata produzione francese in varie categorie merceologiche, anche nel settore di oggetti ed arredi.

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Paul Poiret. Abito lungo in stile esotico con punto vita alto e cappa con lungo strascico e collo di pelliccia. 1912

Mobili in stile Art Decò.

La tragedia del primo conflitto mondiale, in Europa segnò la fine della Bella Epoque e con essa quella dello stile Liberty. Nell’arredamento, alle forme curvilinee del Liberty, fu preferita una geometria rigida per il disegno di mobili più funzionali.

In occasione dell’esposizione del 1925 a Parigi, particolare successo ebbe la mobilia, sobria e pulita, prodotta dal designer-arredatore parigino Jacques-Emile Ruhlmann (1879 – 1933), illustre esponente di questo stile che dominò la scena dei primi decenni del Novecento rinnovando i fasti dell’ebanisteria parigina.

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Jacques- Èmile Ruhlmann 1930
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Jacques- Èmile Ruhlmann. 1925

Erano mobili dalle forme semplici, esaltate dall’impiego di materiali pregiati come, l’amaranto, l’ebano macassar e il bois de violette.

Già tali elementi formali si poterono riscontrare nelle opere di Charles Rennie Mackintosh (1868 – 1928), e in quelle della secessione austriaca, ma in particolare nello stile già sperimentato nella Bauhaus, la scuola di architettura e design fondata dall’architetto tedesco Walter Gropius (1883 – 1969).

Tecniche e tipologie di mobili.

L’abbandonò delle linee sinuose a favore di forme geometriche più stilizzate, concedeva maggior spazio alla funzionalità e alla praticità. I mobili nella loro semplicità avevano una decorazione minimale; le superfici lisce dalle tonalità neutre erano arricchite da maniglie di forme geometriche.

Per essi erano impiegati i materiali più disparati. Insieme a legni pregiati, erano usati il vetro e materiali insoliti, come l’avorio, la pelle di squalo e quella di serpente.

Nacquero in questo contesto alcune nuove tipologie destinate ad un modo di vivere moderno e modaiolo come l’armadietto da cocktail, il mobile per la radio e per il grammofono. Si tratta di mobili prodotti in serie su disegno di architetti di fama che nascono per una moda volutamente resa effimera da esigenze produttive, pronta ad essere sostituita da nuove illusioni medianiche da lanciare sul mercato.

Stile Art Decò e nascita del design italiano.

Lo stile Art Decò si diffuse in Italia a partire dagli anni venti, divenendo soprattutto per l’architettura l’arte prediletta del regime totalitario fascista.

Tuttavia anche in Italia l’apertura dello stile Art Decò al design industriale darà l’inizio ad una nuova architettura di interni che vede trionfare l’ebanista Duilio Cambellotti (1876 – 1960), e gli architetti Piero Portaluppi (1888 – 1967), Giovanni Muzio (1893 – 1982), Giò Ponti (1891 – 1979).

Giò Ponti

Alla “Triennale milanese”, istituita in quegli anni e tutt’ora massima vetrina delle nuove idee del design e dell’industria mobiliera italiana, erano esposti dei pezzi di arredamento unici e dei prodotti di serie. Entrambi hanno matrice comune e stessi autori.

Piero Portaluppi.

Negli anni a cavallo tra le due guerre, Milano divenne la capitale del disegno industriale e nei magazzini La Rinascente, con l’apporto dei designers Giò Ponti (1891 – 1979) ed Emilio Lancia (1890 – 1973) nacque il reparto di arredamento “Domus Nova”, nel quale sono proposti mobili economici dall’estetica curata e moderna.

Nel 1928 nascono le riviste Domus e La casa bella che allargarono l’orizzonte dell’architettura e delle arti decorative.

L’Art Decò negli Stati Uniti.

Dall’Italia si diffuse in tutta Europa e, intorno gli anni trenta, anche oltre oceano negli Stati Uniti dove assunse il caratteristico gusto per il modellato aerodinamico.In America l’Art Déco si espresse in gran parte attraverso l’architettura. Tra gli esempi più famosi uno su tutti è l’Chrysler Building di New York.

Declino dello stile Art Decò.

Se il ritorno al manufatto artigianale fu prerogativa dello stile Liberty, con l’Art Decò le produzioni seriali meccanizzate divennero curate anche sotto il profilo estetico, perfette per committenze con minori possibilità economiche.

Paradossalmente questa prerogativa dello stile Art Decò ne determinò la sua fine. Infatti, lo stile comincia a passare di moda quando la produzione degli oggetti di design e di arredamento di gusto Déco diventa “di massa”, facendogli perdere quell’aurea di esclusività che ne aveva contraddistinto l’ascesa, fino ad essere stroncato dall’austerità della seconda guerra mondiale.

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