Lo stile Rococò si sviluppò in Francia nella prima metà del Settecento, epoca del Regno di Luigi XV. La vita di corte divenuta più frivola e spensierata, lontana dalla rigida solennità di un epoca passata, esigeva uno stile più leggero e fantasioso. Non più grandiosità e sfarzo, ma raffinatezza di ornamenti affidati al capriccio, ondulazioni ramificate in riccioli e arabeschi floreali.
Lo stile Rococò (dal 1720 al 1760).
Fu il decorativismo, talvolta eccessivo, che consegno alla storia il Rococò come uno stile frivolo. Il termine stesso “Rococò”, nato dalla combinazione della parola francese “rocaille”, con la quale si indicava una particolare decorazione eseguita con rocce e conchiglie con il termine italiano “barocco”, fu accettato dagli storici dell’arte solo nella metà del XIX secolo, per designare la produzione mobiliera eseguita sotto il regno di Luigi XV. Lo stile di vita della corte francese, ancora una volta influenzò moda e arti decorative di tutta Europa: a Monaco di Baviera come a San Pietroburgo lo stile si diffuse rapidamente.
Tipologie di mobili.
La proporzione dei mobili divenne più aggraziata e minuta, meno sontuosa. Il mobile rappresentativo di questo periodo fu la commode, un cassettone a fronte e fianchi bombati con tre cassetti sovrapposti, oppure da due a quattro cassetti disposti su due file, su un basamento con gambe a zampa di capriolo definita en cabriolle.
Di questo periodo furono alcune nuove tipologie di mobili, costruite appositamente per assolvere a specifiche funzioni. Ad esempio, la toilette, una piccola scrivania con finti cassetti, con accesso a scomparti interni nascosti e uno specchio incernierato che poteva assumere varie posizioni.
Interessante fu anche la produzione di vari modelli di tavoli da gioco e larga diffusione ebbero gli scrittoi a ribaltina, chiamati secrétaires. Questi erano composti da un tavolo sormontato da cassetti e da un piano ribaltabile.
Barocchetto italiano (dal 1720 al 1780).
Con il declino economico dell’aristocrazia italiana, le proporzioni più minute dei mobili Rococò si prestavano per aggiornare l’arredamento di palazzo. Furono prodotti, prevalentemente nel Veneto, mobili dall’impianto formale tipicamente barocco, ma dalle proporzioni più minute e moduli decorativi più eleganti tipiche dei mobili Rococò che non contrastavano con il vecchio arredo scenografico barocco. Tale stile, che si diffuse in tutta la penisola, venne definito Barocchetto Italiano. Venezia, già rinomata per la sua mobilia dipinta e laccata, fu il centro dello sviluppo di questo stile, dove durò ben oltre la metà del Settecento.
Oltre che nel Veneto, mobilia in questo stile fu costruita dagli ebanisti genovesi eredi di Anton Maria Maragliano (1664 – 1739) e in Piemonte, dove spiccarono le produzioni di Luigi Prinotto (1706 – 1790) e di Pietro Piffetti (1701 – 1777). Quest’ultimo alla corte dei Savoia lasciò autentici capolavori di mirabili tarsie incrostate su mobilia di felicissima ideazione formale.
Tecniche di realizzazione.
La tecnica dell’ebanisteria dei mobili rococò fu raffinatissima e gli arnesi da lavoro, benché identici a quelli del secolo precedente, divennero più numerosi e dotati di lame più sottili e affilate per eseguire rilievi più minuziosi, netti e decisi.
Come in Francia, anche in Italia si diffuse l’uso di impiallacciatura in strati sottili tali da consentirne l’applicazione sullo scafo del mobile direttamente a colla, eliminando l’uso dei bironcini di morsaggio.
Anche la lastronatura si era intanto assottigliata e la chiodatura del mobile divenne “a farfalla serrata” e differenziata per ogni specifica parte del mobile.
Le parti strutturali dallo spessore compresi tra 2 e 1 cm erano tenutili insieme da incastri a coda di rondine applicati in forma binata agli apici, o a serraggio centrale e la tipica gamba “en cabriolle” era in genere lavorata su materiale grezzo già reso curvilineo dalla natura.
Divenne consuetudine nascondere gli aspetti costruttivi di un mobile e lo stucco per riempire le giunture venne largamente usato anche per nascondere i chiodi.
La lucidatura del mobile era sempre eseguita a gommalacca con procedimenti complessi e ultimata con un sottile strato di cera d’api.
Il mobile laccato veneziano.
La lacca orientale, importata e adoperata a Venezia già in epoca Rinascimentale, ebbe successo in tutta l’Europa, ma la difficoltà a reperire la materia prima e i segreti di lavorazione, obbligarono artigiani e artisti europei a inventare delle tecniche ad imitazione dei procedimenti delle “lacche vere” orientali. In Italia e forse in Europa, uno di questi primi tentativi riusciti ed apprezzati, sembra sia stato quello di un padre agostiniano Eustachio Jannart, che nel 1667 a Roma riuscì a comporre una vernice abbastanza verosimile alla lacca cinese. Più tardi, nel 1720, il gesuita Filippo Bonanni pubblicò il “Trattato sulla Vernice Detta comunemente Cinese” sui diversi tentativi effettuati in occidente per produrre lacca.
In Italia le modalità d’impiego delle lacche variano di città in città, ma i mobili veneziani del Settecento, rifiniti con questa tecnica, raggiunsero un livello qualitativo notevole grazie alla meticolosità degli artigiani nello stendere la vernice su superfici levigatissime.
Venezia, nel Settecento, contava oltre trecento botteghe artigiane con circa duemila lavoranti. Si trattava del più fecondo centro di produzione di mobili in Italia.
Nella città di Venezia, oltre alla “lacca cinese”, erano molto apprezzate dalla clientela le dorature, gli intagli e l’inserimento di specchi o vetri nel mobile. Iniziò una moda che si impose anche nel campo dell’oggettistica e la tecnica della laccatura venne applicata, oltre che sui mobili, su vassoi e scatole.
Nei mobili veneziani, al contrario di quanto avveniva in quelli francesi, il bronzo dorato non tempestava il mobile ma se ne faceva uso solo nelle maniglie e nelle bocchette delle serrature, mentre le decorazioni pittoriche acquisirono grande importanza. Queste erano concepite in un contesto più ampio di arredamento che coinvolgeva anche la sala che conteneva la mobilia. Non a caso, nel 1691 a Venezia, le due corporazioni indipendenti di pittori e di decoratori si unificarono nel “Collegio dei pittori”.
I decoratori Veneziani furono i soli ad accostare la lacca a motivi di decorazione sia orientali che occidentali con generose incastonature di madreperla. Combinazione questa, derivata da alcuni esempi Cinesi e Giapponesi, noti in qualche modo agli artigiani della città.
Tecnica della lacca cinese alla maniera veneta.
- Una volta costruito il mobile con i legni delle Prealpi Venete, come il cirmolo, il tiglio o il noce, ogni giuntura e asperità di esso veniva fissata con garza impregnata di colla.
- Successivamente, allo scopo di rendere tutto più liscio, veniva stesa sopra una mano di colla di coniglio e uno strato di stucco che veniva levigato con carta vetra e pomice finissima.
- A questo punto il mobile veniva affidato al decoratore che stendeva un fondo a tempera monocromatico dove sopra dipingeva i decori e indorava le parti intagliate.
- La decorazione a tempera una volta ultimata veniva fissata con la sandracca. La differenza tra mobile semplicemente “dipinto” e mobile “laccato”, consisteva proprio nello spessore e nella composizione di questa vernice, oltre che nella tecnica della sua applicazione: la resina in blocchi veniva sciolta in alcol che divenendo fluida come il miele, veniva stesa in 15 – 18 mani successive fino al raggiungimento di uno strato di due millimetri di spessore.
Il repertorio dei temi usati nella decorazione pittorica dei mobili fu vario a seconda dei diversi periodi di produzione: inizialmente vi fu il ricorso a imitazioni dei modelli orientali, quindi su fondi neri o rossi spiccavano decorazioni a cineserie dorate, mandarini avvolti in ampie vesti, alberi, animali esotici, fiori e arabeschi; verso la metà del Settecento oltre al colore rosso si impiegarono il verde e il giallo sostituendo le cineserie con scenette pastorali o di derivazione arcadica, ma anche decorazioni con farfalle, uccelli e fiori a mazzi. Successivamente, con l’apparire della compostezza strutturale dei mobili imposta dal gusto neoclassico, alle decorazioni di fantasia, vennero preferiti ornati a medaglioni e ghirlande su sfondi dai colori più tenui.
Tecnica della “lacca povera o arte povera”.
La tecnica della “lacca povera o arte povera” fu introdotta dai mobilieri veneziani per abbreviare i tempi di realizzazione dei mobili laccati a cineseria e quindi poter realizzare imitazioni meno costose e pregiate dei più nobili pezzi dipinti. Questa consisteva nell’applicazione di figure e paesaggi stampati su carta, ritagliati, coloriti e ricoperti di vernice brillante. Il più grande produttore del periodo di queste carte fu la Stamperia Raimondini di Bassano del Grappa.
Con questa tecnica semplice furono realizzati gran parte dei mobili che arredavano con economia le case delle classi borghesi del Veneto. Oggi questi pezzi, facilmente reperibili sul mercato dell’antiquariato ormai privi delle decorazioni, andate distrutte proprio perché di carta, hanno ispirato le odierne produzioni di mobili rustici in legno grezzo che prendono il nome di Arte Povera.
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